Intervista al regista Bellocchio che ha presentato a Zurigo “Sangue del mio sangue” e “I pugni in tasca” in proiezione dal 28 gennaio al Filmpodium.
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Di Gloria Bressan per “Mercoledì Italiano”
È opinione comune che la cultura sia un bene primario come l’acqua e che gli acquedotti possano essere rappresentati dai teatri, dalle biblioteche e dai cinema confermando il ruolo artistico fondamentale di alcuni registi: Marco Bellocchio ne rispecchia l’essenza.
Intervistato dalla nostra redazione, il settantacinquenne regista autore di film premiati con David di Donatello e Globo D’Oro, con riconoscimenti come il Leone d’Oro alla carriera a Venezia, si dimostra un artista pronto ad analizzare con semplicità la sua straordinaria carriera.
«Ci sono state produzioni – racconta il regista – subito accolte dal pubblico con entusiasmo come il premiato I pugni in tasca, un film con psicosi e tematiche sempre attuali, mentre altre sono state meno popolari. Sono consapevole del fatto che, nella valutazione dei miei lungometraggi, esiste un revisionismo che consente al pubblico di apprezzare alcuni film in un secondo tempo, riuscendo a capirne il significato a posteriori e con diverse interpretazioni». Bellocchio possiede il talento di riuscire a trasmettere, in un percorso istintivo e naturale, le sue esperienze famigliari e personali, come nella sua opera prima, evitando la scelta di rincorrere il compiacimento del pubblico per rimanere fedele ai suoi gusti con risultati oggettivamente apprezzati dalla critica cinematografica di tutta Europa.
In Sangue del mio sangue si ripropone una tematica molto cara all’autore, quella di presentare il suo paese natio «Bobbio», in provincia di Piacenza, in questo frangente in due epoche diverse e con differenti chiavi di lettura. Bobbio, in questo caso, rappresenta il simbolo di quei borghi provinciali che, per chi si è allontanato, rimangono nella memoria e nelle proprie radici con la speranza che non si evolvano. «Il ritorno al paese – conferma l’autore- è un punto di partenza per le coordinate della vita. Per me è il luogo dove scorre il Trebbia, un fiume ancora pulito e vivo dove l’affetto scaturisce dalla consapevolezza di poterci tornare ogni anno a fare il bagno. Il Trebbia è un punto fermo anche se, come ogni corso d’acqua, è simbolo di cambiamento. Un cambiamento a cui ci dovremo adattare tutti; proprio come succede nelle vicende del secondo episodio del film in cui una congrega, quasi massonica, si interroga su come mantenere l’isolamento protettivo e i propri status sociali per sconfiggere un adattamento alle nuove regole, ad una globalizzazione che ha allargato esponenzialmente i confini». Nel primo episodio, invece, Bellocchio, riporta la sua Bobbio, potente roccaforte vescovile, all’epoca dell’inquisizione dopo aver scoperto personalmente delle prigioni chiuse da decenni e cadute nell’oblio. Da questo frammento storico nasce una trama ispirata alla monaca di Monza in cui un’attenta regia fotografica fa da sfondo ad una vicenda di passione e prigionia sia psicologica che fisica.
Non mancano progetti in corso di realizzazione come il film tratto dal successo letterario italiano di Massimo Gramellini intitolato Fai bei sogni e idee per il futuro tra cui potrebbe esserci un nuovo cortometraggio che sta valutando di produrre per la ventesima edizione del Bobbio Film Festival che si tiene ogni anno d’estate.
In un’epoca in cui tutto viene consumato velocemente e voracemente è rassicurante sapere che il risultato del lavoro artistico ed empatico di registi del calibro di Bellocchio, resiste, si rinnova e continua, soprattutto, a far riflettere. Buona visione!
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