Di Matteo Forciniti per “Gente d’Italia“
Si chiama Carlos Defazio, è italouruguaiano e ha realizzato una serie di ricerche sulle associazioni liguri dell’Uruguay. Il lavoro faceva parte della tesi di laurea in antropologia per l’Università della Repubblica dell’Uruguay e continuò poi in Italia per un master su “Costruzione e gestione dei progetti nel sociale” dell’Università Lumsa. Dopo aver ottenuto la cittadinanza italiana – per un bisnonno proveniente dalla provincia di Savona – cominciò ad interessarsi alle origini familiari e in particolare alla Liguria.
Accanto alle motivazioni personali, anche la scarsità di studi antropologici sulla tematica dell’immigrazione influenzarono la decisione. La ricerca, iniziata a Montevideo, potette proseguire a Roma grazie a una borsa di studio del Ministero del Lavoro destinata ai giovani discendenti.
Lo studio in questione analizza il tema dell’identità e della cultura all’interno delle associazioni liguri dell’Uruguay (distribuite tra Montevideo, Salto e Paysandú) mettendone in evidenzia le caratteristiche e le differenze basandosi su interviste personali a diversi membri.
“L’emigrazione ligure nel Río della Plata ha lasciato una notevole influenza visibile ancora oggi nella nostra società in molteplici aspetti”. Così esordisce l’antropologo ricordando i suoi studi. Una serie di numeri possono aiutare a comprendere il fenomeno. “Gli arrivi dei liguri si prolungarono durante tutta la seconda metà dell’ottocento, in particolare tra il 1850 ed il 1870 quando oltre 31mila persone scelsero di stabilirsi in questa zona del Sud America. In quel periodo la maggior parte degli immigrati italiani erano settentrionali e tra questi il 32% veniva dalla Liguria”. Il contributo ligure è particolarmente evidente in Argentina come è testimoniato dal quartiere La Boca di Buenos Aires e la sua squadra di calcio Boca Juniors detta anche xeneizes, ossia genovesi. Sull’altra sponda del fiume la situazione è simile: “Attualmente, tra gli italiani e i discendenti residenti in Uruguay, la Liguria è tra le prime quattro regioni di provenienza. Notevole è stato il suo apporto culturale, tanto nella gastronomia, come nel linguaggio, nella musica, nell’organizzazione sociale e familiare”.
L’Associazione Ligure di Montevideo oggi non esiste più. Fondata nel 1973 e finanziata prevalentemente dalla Regione Liguria, aveva all’incirca 200 soci. Ciò che Defazio notava ripetutamente era la “forte tensione nelle relazioni di potere” da parte dei membri più anziani nati in Italia in “perenne contrasto con i discendenti”. Sforzo, moderazione, risparmio, discrezione, lavoro: erano questi “alcuni dei principali valori che costituivano l’identità del gruppo”.
Una situazione molto diversa, invece, era quella che emergeva nell’interno dell’Uruguay. A Salto l’associazione venne fondata nel 2005 ed aveva 140 soci di cui la stragrande maggioranza erano discendenti. Altri motivi segnarono l’origine dell’associazionismo ligure a Paysandú. “Nacque nel 2002 nel contesto della grave crisi economica e con la necessità di incontrare antenati italiani per il riconoscimento della cittadinanza. Un obiettivo preciso”. In quegli anni poteva contare su circa 500 soci.
Il senso di appartenenza alla Liguria costituiva “l’elemento distintivo dell’associazione di Montevideo, con un noi contrapposto agli altri, ossia i giovani o discendenti”. Molteplici i punti critici riscontrati: “Invecchiamento del tessuto sociale, mancato rinnovamento e partecipazione di giovani, inerzia ai cambiamenti, scarsa attività, isolamento rispetto alla società locale, tendenza alla concentrazione di potere e alla personalizzazione della conduzione, rivalità individuali e paternalismo”. Questo forte carattere identitario finiva per “rafforzare una tendenza alla concentrazione di responsabilità da parte di un ridotto gruppo di potere”. A differenza della capitale, nelle due città dell’interno si notavano altre caratteristiche comuni tra cui: “Dinamismo nelle attività, assenza di conflitti identitari, maggiore collaborazione con gli altri gruppi regionali italiani ed anche con le istituzioni locali, stretto vincolo con i vicini argentini ed anche una contenuta partecipazione di giovani attratti da diverse opportunità tra cui i corsi di lingua”.
Insomma un panorama completamente differente tra la capitale ed il resto del Paese.
Nelle conclusioni della ricerca Defazio indicava possibili soluzioni per il rilancio dell’associazione montevideana: “Diversificazioni delle attività sociali (non solo le riunioni di carattere gastronomico), maggior coinvolgimento dei giovani, incremento dei rapporti con le istituzioni locali e promozione della massima rappresentatività democratica nelle associazioni”. Anche se più recenti e nate per uno scopo specifico come quella di Paysandú, “queste associazioni potrebbero essere prese come modelli sotto determinati aspetti”.
Gli studi dell’antropologo italo-uruguaiano sono stati in qualche modo profetici. Oggi che l’associazione ligure di Montevideo è scomparsa sorge una domanda: quanti gruppi della collettività italiana rispecchiano le caratteristiche evidenziate? Quale sarà la prossima associazione a scomparire? Cosa si farà, concretamente, per evitare l’inarrestabile declino in cui versa oggi l’italianità in Uruguay? È certamente un discorso molto amplio che vede coinvolti diversi attori ognuno dei quali con le proprie responsabilità.
“Credo che il caso visto con i liguri possa essere comparato a quello di altre associazioni” ipotizza Defazio, esprimendosi sempre in un italiano molto corretto durante tutta l’intervista. “La mia è solo un’impressione dato che conosco poco la collettività. Mi piacerebbe continuare la ricerca potendo studiare altri gruppi”. “A Montevideo” -dice con una certa tristezza- “ho visto l’immagine di un’Italia da cartolina, ferma al passato. Niente a che vedere con l’Italia di oggi”
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