Il sessismo, il razzismo, la xenofobia, l’omofobia ecc., sono elementi interconnessi nella realtà di tutti i giorni. È da questo presupposto che bisogna partire per capire che la lotta per la parità di genere diventa la battaglia di tutti per una società più inclusiva ed equa.
Abbiamo percorso molta strada, molto è stato fatto, ma molto rimane ancora da fare.
Abbiamo ormai superato le tre fasi del femminismo, movimenti prettamente femminili in cui le donne combattevano per le donne con le donne. Ci troviamo nella quarta ondata del femminismo, quella che parla agli uomini, che invita gli uomini a partecipare e battersi per i diritti delle donne.
È, però, ancora faticoso coinvolgere la platea maschile nei progetti e nelle iniziative che mirano a realizzare la parità di genere. Vi è nella nostra realtà (forse ancora più marcata rispetto ad altri paesi), una certa indolenza, se non addirittura ostilità, degli uomini nel coinvolgersi in battaglie che puntino alla parità di genere.
Numerose ricerce, condotte all’interno di svariate organizzazioni, sull’approccio maschile alle iniziative mirate alla parità di genere ci dicono che le risposte vanno dall’aperta critica, alla silente diffidenza, al disinteresse. L’approccio più diffuso è quello del disinteresse. Gli uomini sembrano raccontare a se stessi: “cosa c’entro io in quest’iniziativa? Non è per me!”, liquidando frettolosamente un impegno che, in realtà, li dovrebbe vedere estremamente coinvolti e partecipi. Altri partono da un pensiero di comodo, velatamente maschilista: “hanno voluto la parità, adesso se la guadagnino loro!”.
Altri studi ci dicono che gli uomini hanno un livello di “autorevolezza psicologica” (provare indignazione e sentirsi autorizzati ad agire in base alla propria indignazione) molto più basso delle donne quando si tratta di equità e parità di genere. Per fare un esempio: posso essere fortemente indignato e scandalizzato dai costi della politica ma non avere sufficiente “autorevolezza psicologica” per intraprendere un’azione di protesta.
Cosa fare, allora, per ottenere un livello di coinvolgimento ed ingaggio più alto nelle iniziative e nei programmi di parità di genere?
Occorre un passaggio culturale negli uomini (perchè di questo si tratta!) e per arrivare a ciò bisogna agire su un livello insieme cognitivo ed emotivo. Si deve rinforzare l’idea che la parità di genere non è una “questione delle donne”, ma uno scenario che avvantaggia la società nel suo complesso, uomini compresi. È indispensabile coinvolgere gli uomini in tutte le discussioni sull’impatto di una piena diversità di genere, invitandoli e rendendoli partecipi ad ogni occasione di confronto.
Lavorare per liberarci di ruoli preimposti, conformi a idee stereotipiche di mascolinità e femminilità, farebbe bene alla collettività in quanto abbandoneremmo gli schemi sociali di cui tutti siamo prigionieri, nessuno escluso.
Certo ci sono delle caratteristiche tipicamente femminili o maschili, ma questo non significa che non possiamo uscire da uno schema, ragioniamo del fatto che siamo persone e tra persone dobbiamo aiutarci.
Non isoliamoci, i passi avanti si fanno insieme, donne e uomini fianco a fianco, altrimenti il processo si intoppa irrimediabilmente.
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