India: quinta economia mondiale

Nel dibattito sulla riglobalizzazione, cioè l’emergere di coalizioni di Paesi fondate su comuni interessi economici e nuove alleanze geopolitiche, un paese guadagna costantemente una crescente attenzione: l’India. Oggi è già la quinta economia mondiale e presto (entro il decennio) sarà più grande della Germania e del Giappone, terza quindi dietro a Stati Uniti e Cina. L’India è stata spesso descritta come un’economia del futuro, ma in realtà ha già realizzato una delle storie di crescita più impressionanti del recente passato.

È uno dei dieci paesi del mondo che, negli ultimi tre decenni fino alla pandemia, ha raggiunto una crescita media annua superiore al 3 per cento, senza mai scendere al di sotto del 2 per cento di media quinquennale. L’economia che ha generato questa crescita è cambiata nel corso del processo: i servizi indiani ad alta intensità di capitale umano rappresentano oggi più del 20 per cento del valore aggiunto totale dell’economia del paese e dominano il commercio del settore. Anche le industrie manifatturiere ad alta intensità di competenze e di capitale sono cresciute, mentre quelle ad alta intensità di lavoro hanno ristagnato come quota del Pil nazionale.

L’India è diventata, ad esempio, un importante sito di produzione di telefoni cellulari e oggi ha più start-ups del Regno Unito o della Germania. L’attuale governo indiano ha avviato riforme ambiziose sulla liberalizzazione del mercato del lavoro e sulla semplificazione fiscale attraverso un’imposta nazionale sul valore aggiunto (Iva). L’iniziativa “Make in India” è stata lanciata come programma generale per l’attrazione di investimenti esteri diretti, lo sviluppo delle competenze della forza lavoro e la riduzione dei costi amministrativi delle attività commerciali.

Sono stati introdotti incentivi legati alla produzione (Pli) per incoraggiare gli investimenti in attività produttive in settori specifici come i pannelli solari. Sebbene siano meno della metà di quelli verso la Cina (all’incirca 181 miliardi di dollari nel 2021), gli afflussi di Ide sono quasi raddoppiati nell’ultimo decennio e in percentuale del Pil sono ora superiori alla Cina e alle medie dei Paesi a reddito medio e medio-basso.

I principali stati dai quali provengono sono i grandi paesi industrializzati, Italia inclusa. Al contempo, l’India è diventata più aperta al resto del mondo: da bassi livelli iniziali, la quota delle esportazioni indiane rispetto al Pil è ora superiore a quella della Cina o persino del Giappone.

Anche i suoi partner commerciali sono cambiati nel tempo: se nel 2001 il paese era legato soprattutto all’Europa, nel 2011 si era invece ben inserita appieno nella comunità asiatica che gravita intorno a Pechino, mentre oggi è il motore di una nuova piccola comunità che include l’Arabia Saudita, gli Emirati arabi uniti, l’Egitto e molti stati ricchi di risorse naturali, inclusa la Russia che dal 2022 è stata progressivamente allontanata dal commercio europeo.

Oggi l’India è diventata uno snodo importante di commercio internazionale, legato a Pechino, ma al centro di una vera e propria “comunità” di nazioni verso le quali esporta; un vero e proprio quarto polo mondiale, insomma, centro di un’intensa attività economica e attrattore di capacità manifatturiera.

Una nuova India sta dunque emergendo, e da tempo. L’India è ormai un partner fondamentale per il raggiungimento di alcune delle priorità strategiche dell’Europa:

•dispone di una forza lavoro ampia e in crescita che le permetterà di emergere come uno dei futuri fornitori alternativi di beni  manifatturieri, riducendo la dipendenza del mondo (e dell’Europa) dalla Cina.

•ha un fabbisogno energetico in rapida crescita e deve quindi far parte di qualsiasi soluzione realistica alla sfida climatica globale.

•in quanto democrazia (o quasi) più popolosa del mondo, nel cuore della nascente regione indo-pacifica, è un attore critico di stabilizzazione in un sistema geopolitico sempre più fragile.

Cresce dunque l’interesse dell’Europa per l’India, soprattutto per quanto riguarda il commercio e gli investimenti. Il focus dei negoziati commerciali è però basato sull’accesso al mercato e rischia di portare ancora una volta a uno stallo.Un approccio più promettente sarebbe quello di consentire alle aziende europee di avere un ruolo nelle ambizioni di costruire capacità manifatturiere più forti, che è l’interesse attuale dell’India, con il progetto “Make in India”.

Ciò offrirebbe alle imprese manifatturiere europee un partner con un enorme mercato interno e la possibilità di diversificare le loro catene di approvvigionamento dalla Cina, una combinazione impossibile altrove. Ad ogni modo, è fondamentale tenere in considerazione il crescente peso economico e politico del Paese. È nell’interesse di tutti.

Di Peter Ferri

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