“È con crescente sgomento che apprendiamo, ormai quasi quotidianamente, di episodi di intolleranza e di violenza, sia fisica che verbale, nei confronti di cittadini la cui unica colpa è quella di essere percepiti come “diversi” per pelle, censo o genere.
In questa torrida estate italiana sono ormai molti, troppi, i casi di violenza fisica e verbale che si ripetono ai danni di cittadini immigrati. Una specie di virus che si diffonde con inaspettata facilità – da nord a sud – grazie anche alla narrazione di autorevoli esponenti di questo governo e alle loro strategie di comunicazione.
Ma per tanti che non hanno la forza di reagire, c’è però anche un’Italia che alza la testa e che si oppone a tutto questo. Anche in Parlamento.
Per questa ragione ho sentito la necessità di unire la mia voce a quella dei tanti colleghi che reagiscono a questo clima di intolleranza presentando un’interrogazione in Commissione Affari Sociali sul caso di Ibrahima Diop.
In particolare, ho chiesto al Ministro alla Salute e a quello della Pubblica Amministrazione quali provvedimenti intendano prendere su questo caso, riguardante un cittadino italiano di origine senegalese che dopo essersi rivolto agli uffici della Asl di Giulianova per informazioni si è sentito rispondere da un impiegato dell’azienda sanitaria “di rivolgersi al reparto Veterinaria”.
Il caso di Ibrahima Diop è emblematico di un sentimento di intolleranza che, grazie alla legittimazione che certa retorica politica gli conferisce, sembra serpeggiare e prendere piede nella nostra società.
“Sono soltanto parole al vento”, si dice per sdrammatizzare questo tipo di episodi. Eppure, sono proprio le parole ad essere usate oggi come strumenti di propaganda per incitare e legittimare la discriminazione etnica, religiosa o di genere, privare le minoranze di poteri e diritti, indebolire di fatto i principi fondamentali della nostra Costituzione.
Parole al vento che si propagano e trovano terreno fertile per umiliare e offendere, ridurre al silenzio, deridere e dividere. So bene che esse sono anche l’espressione di un disagio sociale e di uno spaesamento culturale, di cui dobbiamo farci carico. Tuttavia, sono parole senza pudore e senza responsabilità quelle che in questi ultimi mesi si disperdono e si normalizzano nel magma dei social, diventando narrazione politica e quindi consenso.
E allora è anche dal peso delle parole che oggi dobbiamo ripartire, per non essere complici.
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