Raccolta di storie di emigrazione

Un libro che lascia una testimonianza ai più giovani e che diffonde le nostre radici.

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Di Matteo Forciniti per “Gente d’Italia

Presso l’Ateneo di Montevideo è stato presentato il libro“Recuerdos junto al cjavedâl”, secondo capitolo di una raccolta di storie di emigrazione curata da Walter Mattiussi ed iniziata nel 2013 con “De la Piçiule Patrie a la Banda Oriental”. Il lavoro è stato reso possibile attraverso la collaborazione dell’Ente Friulano Esfasce, l’Associazione Culturale Due Mondi e l’Associazione Culturale “Qui Pantianicco”.

“Questo libro è dedicato ai più giovani affinché possa essere lasciata una testimonianza scritta per diffondere le nostre radici” ha dichiarato Mario Mattiussi aprendo la serata, parlando sia a nome di suo figlio Walter che come presidente di Efasce.

La sua è una storia simile a quella degli altri: “Sono cresciuto ascoltando le storie familiari e i racconti di mia nonna che parlava solo in friulano. Ecco, tutto questo patrimonio deve essere salvaguardato”.

“L’idea di questo libro” – racconta Walter Mattiussi nel testo introduttivo – “è nata dalla necessità di un gruppo di giovani italouruguaiani che desideravano ampliare le proprie conoscenze sulla regione Friuli Venezia Giulia, da dove provenivano i loro antenati”. Come scrive l’autore, queste pagine rappresentano “un piccolo aiuto nell’impresa di ricordare o conoscere un pezzo di storia del Friuli” attraverso le storie di uomini e donne sbarcati in un nuovo paese.

“Non si può amare ciò che non si conosce”. Partendo da una famosa frase di Dostoevskij si scoprono i diversi aspetti sulla vita straordinaria di queste persone e che “devono servire per accrescere le conoscenze”. Il Friuli – con la sua cultura e le sue tradizioni – è al centro di queste storie. Lo si capisce fin dal titolo con il “cjavedâl”, l’oggetto tipico di questa regione traducibile in italiano come “alare doppio” e che consiste in due montanti in metallo che si utilizzano per mantenere le pentole sul fuoco.
Non a caso il libro cerca di emulare la sua funzione, “mantenendo calde le radici e ravvivare il fuoco della tradizione”. È l’immagine di un Friuli antico e rurale che oggi praticamente non esiste più anche se è possibile riscontrarne delle tracce dall’altra parte del mondo in questo Uruguay così profondamente italiano in tutte le sue componenti.

Questa seconda edizione del libro è stata resa possibile dal lavoro di diverse persone dell’associazione uruguaiana tra cui Adriana De Crignis, figlia di un italiano di Pirano – piccolo centro sulla costa adriatica che oggi fa parte della Slovenia – scappato come molti dopo la seconda guerra mondiale quando la cittadina passò alla Jugoslavia. “Oggi siamo qui riuniti come italiani emigrati in Uruguay indipendentemente dalle nostre differenze geografiche”.

Ad ascoltarla, tra il pubblico, c’erano sia intervistati nel libro che figli o nipoti di emigrati. “Le storie di emigrazione sono molto comuni” ha spiegato la De Crignis. “Arrivavano al porto di Montevideo dopo un lungo viaggio e non c’era nessuno che li aspettava. Io per tanti anni mi annoiavo a sentire sempre le stesse storie da mio padre ma poi un giorno ho capito: avevo bisogno di incontrare le mie radici”. Il caso di questa famiglia, d’altronde, è emblematica.

“Tutti i racconti che sapevo mi erano stati trasmessi oralmente, cosa che poi ho ripetuto anch’io con i miei figli”. Eppure si sentiva l’esigenza di “fare un ulteriore sforzo, mettere tutto per iscritto e lasciare qualcosa alle future generazioni”. Perché, prima o poi, “le storie tramandate oralmente finiscono per perdersi”.
L’italo-uruguaiana ha poi raccontato i dettagli dell’organizzazione del lavoro con grande commozione: “Mi sono presentata per telefono a persone sconosciute raccontandogli questo progetto e se avevano voglia di collaborare. Ho trovato un grande entusiasmo. Mi hanno aperto le porte di casa ma anche e soprattutto i loro cuori. Rievocare queste storie significa anche rievocare tanta sofferenza e tanta tristezza. È stato tutto molto difficile”.

La testimonianza diretta del legame che unisce anche le nuove generazioni all’Italia è arrivata dalla storia di Laura Moron, figlia di Adriana. Grazie a una borsa di studio di Efasce nel 2010 andò per la prima volta in Friuli visitando quei luoghi di cui tanto aveva sentito parlare a casa. Con le lacrime agli occhi ha ricordato quei giorni: “ Lì ho capito tutto. Sembra strano tutto questo dato che mio nonno è morto quando io ero molto piccola. Eppure sentivo che quei posti erano anche un po’ miei, mi appartenevano in quanto erano le mie radici. Quell’esperienza è stata davvero emozionante”.

Per la Moron “il libro è un’ottima opportunità per far avvicinare i più giovani alla collettività, ad interessarsi di più della loro storia familiare”. La serata è poi proseguita con gli interventi di alcuni dei protagonisti del libro, sia emigrati che figli o nipoti. Tutti hanno sottolineato la “necessità” di questo lavoro per “mantenere viva la memoria ed il ricordo”.

Un compito non facile e che sicuramente non si esaurirà solo con questo libro.

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